Da Milano a Lisbona. Alessandro Cuneo racconta le emozioni del suo primo cicloviaggio
Per tutti c'è stata una prima volta. Tanti poi si sono accorti che non avrebbero più smesso di pedalare, di osservare, di incontrare, di scoprire, di emozionarsi. Il racconto di un debuttante nel mondo del cicloturismo. Il cicloviaggio chiama con insistenza; quanti di voi hanno avuto il coraggio di disubbidire?
Quando, il 25 giugno 2021 alle sei di mattina, raggiunsi il garage di casa per prendere la bici, ero consapevole che dare inizio al mio primo viaggio in solitaria da cicloturista sarebbe stata una esperienza eccitante. Le borse erano lì ad aspettarmi, preparate in fretta e furia la sera prima. In pochi minuti disposi il tutto sul porta pacchi anteriore e su quello posteriore e un dopo un saluto alla mia famiglia, ero pronto a partire. In sella finalmente, mi dissi.
L’idea per questo viaggio è nata casualmente, come spesso mi succede di entusiasmarmi per altri episodi. Era una fredda e piovosa giornata di gennaio quando mi era capitato sotto gli occhi il video di un ragazzo che in sella alla sua vecchia Graziella, aveva raggiunto Capo Nord. Un video talmente entusiasmante da avermi fatto venire voglia di fare lo stesso. Alla fine, però, con il passare dei mesi e il perdurare del Covid, non volendo spendere il mio già risicato budget in tamponi, ho optato per Lisbona – dall’estremo Nord all’estremo Ovest. Era stata una corsa contro il tempo: avevo trascorso le settimane precedenti a studiare ininterrottamente superare l’ultimo esame e prepararmi al viaggio. Al ciclo-viaggio!
Durante le giornate che precedevano la mia partenza provavo spesso brividi di terrore alternati a momenti di grande adrenalina. Prima di allora la mia più lunga esperienza in sella ad una bici erano stati poco meno di quattrocento chilometri, spalmati su tre giorni, per raggiungere Forlì da casa mia, a Milano. Un viaggio che, benché corto, mi aveva fatto assaporare le qualità potenziali del cicloturismo. Primo la libertà, poi l’indipendenza in perfetta autonomia. Allo stesso tempo, però, sapevo che, nonostante non sapessi veramente nulla sul mondo delle biciclette e la mia preparazione fisica fosse pari a zero, non aveva senso farsi frenare dalla paura. Il rimorso che avrei provato nel mandare a monte la partenza sarebbe stato sicuramente più doloroso. “Se hai in mente un viaggio, puoi rimandarlo finchè vuoi, ma prima o poi questo ti presenterà il conto” più o meno sono parole prese a prestito da Giacomo Pellizzari nel libro Tornanti ed altri Incantesimi.
Così, il 25 giugno ero fuori dal portone di casa insieme alla mia bici, con al mio fianco i miei genitori che, cercando di nascondere le loro preoccupazioni, mi davano la carica. Da quel momento, dopo aver percorso i primi chilometri attraverso un’assonnata Milano, mi attendevano trentuno giorni consecutivi a bordo della mia amata (e a volte odiata) bici, una Cube Nuroad pro.
Italia: 2 giorni
Attraversando la Pianura Padana, sono disceso in Liguria in corrispondenza del Passo dei Giovi, dove ho trascorso la prima notte bivaccando in tenda vicino a un piccolo boschetto. Nei giorni successivi ho risalito la riviera di Ponente, seguendo la via Aurelia, fino a raggiungere la frontiera con la Francia. Lì, senza nemmeno un controllo da parte della gendarmerie d’oltralpe, sono entrato in territorio francese. E’ proprio vero che la bicicletta abbatte ogni barriera e confine.
Francia: 10 giorni
La Costa Azzurra è stata più faticosa del previsto, facendomi realizzare quanto siano importanti la preparazione fisica e quella mentale. Senza ombra di dubbio, il terzo giorno di viaggio, da Laigueglia a Cap D’Antibes, è stato il più difficile e faticoso: centoventi chilometri percorsi e quasi mille metri di dislivello, pedalando sotto un sole cocente che non dava tregua, per raggiungere Bessy, un piccolo Bed and Breakfast a una ventina di chilometri da Nizza, che mi aveva offerto ospitalità per la notte. Nei giorni successivi ho proseguito verso sud lungo trafficate strade statali e stradine a strapiombo sul mare, che con la loro vista facevano sembrare ogni salita meno pendente del reale.
Raggiunta l’affascinante e disordinata città di Marsiglia, ho poi pedalato lungo percorsi sterrati che attraversavano una vallata pianeggiante, scavata col tempo dal fiume Rodano, fino a Montpellier, dove avevo trovato ospitalità con Couchsurfing da una coppia di signori francesi.
Superata Montpellier, ho risalito il canal du Midi, un maestoso canale lungo 250 chilometri, fino a Tolosa. Lì ho intravisto per la prima volta l’imponente catena montuosa dei Pirenei, che nel giro di qualche giorno avrei dovuto superare.
Rivolto verso ovest, ho percorso qualche centinaio di chilometri tra continui su e giù prima di raggiungere Saint-Jean-Pied-de-Port, la città che segna l’inizio del cammino francese di Santiago.
Raggiungere questa piccola cittadina ai piedi dei Pirenei ha posto fine a un’importante capitolo del viaggio, fatto di fatica, avventura ma anche solitudine. In quelle due settimane di viaggio, infatti, erano stati veramente pochi i viaggiatori che avevo incontrato sul mio cammino e, perciò, mi ero spesso ritrovato a dialogare con me stesso e a riflettere.
Spagna: 12 giorni
Il 7 luglio facevo il mio ingresso in territorio spagnolo, dopo aver valicato i temibili Pirenei. È stato sicuramente uno dei momenti più difficili, ma presto dimenticati per le emozioni a cui sono stato partecipe: tre lunghe ore sotto una pioggia incessante e avvolto dalla nebbia, in cui ho spinto la mia bici lungo i pericolosi tornanti della statale che, dopo aver raggiunto il passo di Ibaneta, scende verso la piccola Roncisvalle, in terra di Navarra. Come per incanto, la solitudine che aveva contraddistinto i primi giorni di viaggio è stata sostituita da incontri e condivisione. Ogni giorno mi trovavo a trascorrere il mio tempo con pellegrini di ogni età e provenienza. Mi limito a citare Bertario, un signore messicano sulla settantina, che era partito per cercare di trovare un equilibrio nella sua vita; Giacomo, un ragazzo di Rimini che voleva portare a compimento il Cammino per ricordare sua madre, mancata qualche anno prima; altri sempre con motivazioni personali importanti. Ogni incontro mi riempiva di gioia e serenità, facendomi comprendere quanto fossi fortunato a percorrere il Camino degno del suo nome da sempre. Il mattino di ogni giornata trascorsa era il momento più difficile da affrontare: non solo perché era l’inizio di un’altra lunga impegnatva giornata in bicicletta, ma e soprattutto, perché ero chiamato mio malgrado a dire addio agli amici pellegrini conosciuti il giorno prima.
Con la mia discesa in Spagna ho ritrovato tutte quelle energie che sembravano ormai perdute irreversibilmente. Superata la città di Pamplona, (capoluogo della comunità autonoma della Navarra nel nord della Spagna, nota per la corsa dei tori nella Festa di San Firmino, è una tappa importante lungo il cammino di Santiago, sede di chiese gotiche, tra cui la fortezza di San Nicolás) sarebbero iniziate le temute Mesetas, un continuo sali e scendi attraverso un ampio altopiano montuoso.
In quei giorni mi sentivo leggero, ogni sorgere del sole ero felice di pedalare e di poter vedere luoghi nuovi. Al calar della sera, invece, cercavo di fare tappa nei più piccoli e caratteristici paesini della Spagna centrale, dove tra agglomerati di piccole casette cercavo ospitalità negli albergues de peregrinos. In quei piccoli e semplici luoghi circondati dalla natura selvaggia mi sentivo in pace con me stesso, rilassato come mai avevo sperimentato in passato. Attraversate le Mesetas, mi sono incontrato con la parte più difficile del cicloviaggio nel cammino. Ogni giorno percorrere un centinaio di chilometri con quasi mille metri di dislivello era un’esperienza che fino a qualche settimana prima sarebbe stata totalmente impensabile per me. Uno dopo l’altro mi sono sorpreso ad attraversare prima la lunga salita che subito dopo la città di Astorga porta alla famosa Cruz de Hierro, e poi il temuto O’cebreiro, che mi aveva aperto le porte della Galicia e che ora mi apprestavo a percorrere.
Il 18 luglio, dopo ventiquattro giorni, ho raggiunto la bellissima cattedrale di Santiago de Compostela. Per oltre un’ora mi sono fermato a contemplarla tremante e confuso. Ma l’emozione lasciò presto spazio a un leggero rammarico per non aver potuto condividere un traguardo così prezioso e unico con le tante e indimenticabili persone conosciute nei giorni precedenti lungo il cammino. Era una sensazione a cui ero preparato fin dall’inizio, ma che non mi aspettavo avrebbe avuto un impatto tanto forte su di me. Mentre io mi trovavo solo e un po’ triste sotto il porticato antistante la cattedrale, a pochi metri da me gruppi di pellegrini facevano il loro ingresso nella piazza, tutti festanti, preparati emotivamente, lasciando trasparire anche la loro preparazione religiosa.
Portogallo: 6 giorni
Dal giorno successivo ha avuto inizio il cammino portoghese, l’ultimo capitolo del viaggio. Il brutto tempo, che mi ha accompagnato nelle prime quattro tappe del cammino verso Lisbona, ha reso il mio stato d’animo cupo. Mi chiedevo se fosse vero che “non è il maltempo che si deve temere, ma la maniera di come ci prepariamo ad affrontarlo anche con l’abito”. Ricordo una sera, nella cittadina di Mealhada, un centinaio di chilometri dopo la bellissima città di Porto, mi sono ritrovato esausto e senza forze: nonostante mancasse qualche centinaio di chilometri per terminare il viaggio, non riuscivo a trovare la motivazione per continuare. Sembrava paradossale!
Il mattino seguente, quando stavo ormai pensando di fermarmi e porre fine al viaggio, ascoltai sul cellulare: “Ale, ti mancano poche centinaia di chilometri per arrivare, non puoi fermarti adesso! Sei un grande.” Giacomo di Rimini, un ragazzo incontrato a Saint-Jean-Pied-De-Port, con un suo messaggio vocale mi infuse l’energia necessaria destando l’ottimismo e la fiducia in me stesso per continuare. Un messaggio prodigioso che mi stupì nella concomitanza della mia crisi. Il 25 luglio, trenta giorni dopo la mia partenza, nello stesso modo in cui ho iniziato il viaggio, vale a dire in bicicletta, da solo e senza pensieri, contemplavo la famosa Praca do Commercio di Lisbona, la meta finale. 2700 chilometri percorsi, tanti o pochi, non interessavano più. Il mio pensiero andava all’infinità di persone incontrate, che come proiezione di un film osservavo e sentivo vicine e con la vicinanza delle quali sono riuscito a saziare la mia sete di avventura e di libertà.
Ritorno
Il giorno successivo è stata una sfida trovare un cartone per imballare la bicicletta così da portarla in aereo come bagaglio. La ricerca presso i negozi della città mi portò a vagare sfiduciato ogni volta che mi sentivo rispondere negativamente al mio quesito. Al quinto negozio di ciclismo, quando stavo per perdere tutte le speranze, ho trovato un imballo che risultava troppo grande per le misure fornitemi dalla compagnia aerea. L’entusiasmo di aver percorso il mio primo ciclo-viaggio e il piacere di riabbracciare famiglia e amici, si tramutò in una seduta pomeridiana presso la hall dell’ostello, dove sotto gli occhi sorpresi e infastiditi dei receptionist, munito di penna e taglierino, modificavo e modellavo il cartone per impacchettare la mia compagna di viaggio. A casa, riabbracciato la mia famiglia, sentivo che non era terminato soltanto un viaggio, ma un’esperienza di vita che porterò per sempre con me. Con la gioia nel cuore auguro a quanti mi stanno leggendo la stessa mia opportunità: Buen Camino a tutti. (Testi e foto di Alessandro Cuneo con la collaborazione della redazione di www.ciaobici.it)
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