Cicloturismo in Molise, perdersi in bellezze millenarie, castelli, borghi autentici
"E' vero il mondo scorre a fianco, ma da qui possiamo osservarlo con gli occhi di chi, alla frenesia contemporanea, preferisce la lentezza di una favola moderna ancora da raccontare." (Assessorato Regione Molise Cultura e Turismo)
Da Termoli al Lago di Guardialfiera km 60
Termoli affacciata sul mare con la sua luce limpida e un mare blu intenso, mi accoglie dopo poche pedalate una volta sceso dal treno. Il castello, la passeggiata lungo il “belvedere dei fotografi”, le case variopinte e le strade pulite, sono soggetti per le prime fotografie di questo cicloviaggio in Molise. Se per Guido Piovene era un “desiderio per la Regione Molise attirare turisti” ora sembra esserlo un po’ meno perchè i turisti hanno trovato e trovano in essa una compagna docile, premurosa e piacevole, quindi, attraente e richiesta. Termoli, considerata ingresso di questa regione, apre le porte con un centro storico di raffinata bellezza, con traffico ordinato e con la visita di uno dei più belli monumenti molisani: la cattedrale. La piazzetta che la ospita, sembra un salotto, la cui parete più importante è riservata alla facciata della Cattedrale di Santa Maria della Purificazione, Duomo di Termoli. Pochi scalini per innalzare la sua figura gentile, sei arcate a bifore chiuse, e un portale dalle linee pulite in stile romanico.
L’itinerario che presento qui è frutto dell’approfondimento di numerose informazioni e della stesura di percorsi suggeriti in loco da Google Maps (opzione bicicletta).
Scelgo l’uscita dalla città lungo il percorso Campomarino, Oruri, Larino. Superato quel poco di periferia, l’itinerario si immerge nella campagna dove l’impressione di essere subito fuori dalla gente e dal traffico invita al rilassamento. Guardarsi attorno diventa una caratteristica del viaggio in bicicletta e nella lentezza accogli con maggiore requisiti le sorprese che ti si mostrano dinnanzi, le prime alture, pettinate da recenti arature, solitarie querce, casolari sotto un cielo dal colore intenso con nuvole sparse a disegnare sul terreno inconsapevoli ombre che rinforzavano le pennellate al paesaggio.
Un modesto vento muove le pale del parco eolico che nel loro ruotare proiettano ombre al passaggio quasi una spinta al procedere. Uliveti e filari di viti vanno a gara nel presentarsi allineati. Si sale e poi si scende e poi si sale ed è proprio prima di scendere che si ammira in quasi tutta la sua estensione il bacino artificiale chiamato ora Lago di Guardialfiera. Creato con lo sbarramento una diga sul fiume Biferno, costituisce una riserva di acqua potabile per uso domestico, agricolo e industriale. La strada primitiva che attraversava la valle è stata così sommersa con il ponte di Annibale, da 60 metri di acqua. Per il cicloturista è un pregio e un difetto. Il pregio è che si devono percorrere strade laterali di bellezza aliena, silenzi ancestrali, paesaggi godibili. Il difetto è che comunque la superstrada costruita a mo’ di ponte deve in alcuni tratti essere obbligatoriamente percorsa per raggiungere un paese e pernottare. E l’attenzione deve essere massima. Pernottamento all’hotel ristorante Solelago.
Da lago di Guardialfiera a Vinchiaturo km. 65
Per procedere lungo questa lato del lago è obbligatorio percorrere una parte della statale sopraelevata che lo costeggia e attraversa. Il traffico notevole, rumoroso e veloce non favorisce la lentezza e quindi è meglio procedere ad una andatura che possa portarci fuori nel più breve tempo possibile pedalando con attenzione massima lungo una corsia laterale (chiamiamola di emergenza) dove trovano giacenza oggetti di strada triturati, ghiaino, rifiuti erbosi e di urbani di ogni tipo di automobilisti incivili. Non si può percorrere questo tratto di Molise senza vedere Santa Maria della Strada.
Dall’uscita e imboccata la direzione Petrella Tifernina la strada sale continuamente fino alla chiesa per 13 chilometri. Non sempre c’è visibilità dintorno. L’asfalto, non in perfette condizioni, allerta l’attenzione. Sguardo a terra si notano i bordi strada ricoperti di fiori di ogni sorta e dove i margini sono tagliati di fresco si ergono come un tappeto una quantità di ciclamini. Spesso appaiono, in processione funghi bianchi, rossicci, verdi, grandi e piccoli. Al termine del bosco alcuni casolari sulla sommità dei monti, abitazioni di nuova ristrutturazione, attrezzi agricoli e campi ben sistemati. “Isolata in un solenne paesaggio punteggiato di querce e pini” appare d’incanto la chiesa. La datazione di questa chiesa è incerta, ma molti studiosi affermano che essa sia uno straordinario esempio di architettura longobarda, nata prima dell’anno Mille. Perfettamente integrata nel paesaggio circostante, è una piccola costruzione in pietra che presenta linee semplici e molti bassorilievi, con un campanile posto a pochi metri dal corpo della chiesa. Sulla facciata si possono ammirare le lunette che raffigurano scene bibliche.
L’interno è diviso in tre navate da colonne che presentano varie combinazioni di basi e capitelli. In questo piccolo spazio interno si rimane affascinati dai tanti elementi particolari: il monumento funerario posto nella navata sinistra, la zona presbiteriale sopraelevata, l’acquasantiera sulla destra, il soffitto ligneo e altri dettagli ancora. Nel sec. XII, sulla strada tratturo che da Matrice mena a Petrella e verso la Puglia, fu eretto questo tempio in onore della Madonna della Strada. https://www.santuaritaliani.it/santuario/s-maria-della-strada-2/
Si scende (quasi sempre) rapidamente verso Campobasso. Un altro mondo appare dopo due giorni di immersione di profumi, assenza di rumori e campi con la loro vita. Mi affretto così dopo una ricognizione generica dell’ordinato centro storico, a trovare la destinazione serale in periferia. Mi dirigo verso l’itinerario pensato per il giorno successivo e incontro un luogo ameno in campagna dove mi accolgono con amicizia e tanta attenzione. ”Il Tramonte” allora merita la mia citazione: camere moderne, comode, attrezzate di tutto. Disponibilità a procurarmi cibo per la sera vista la distanza da zone abitate, mi sentivo come in famiglia. Il sole illuminava i gialli topinambur del giardino e lontano si intravedevano le alte vette dell’appennino abruzzese. Sgranchisco le gambe visitando i dintorni e mi sorprendo di come il sentiero e il sottobosco siano dissodati dalla presenza in loco, in modo inequivocabile, da branchi di cinghiali.
Da Vinchiaturo a Castelromano Km. 80
L’alba rischiarava la stanza e il buio sconfitto definitivamente, abdicava a favore di un sole vigoroso che avvolgeva ogni cosa. Nella stanza con la luce crebbe la mia eccitazione per la partenza. La destinazione della tappa odierna è Isernia, ma prima dovevo visitare gli scavi di Altilia, la Sepino romana. Suggestiva la posizione e gli scavi messi in luce in tempi moderni, rivelando la vigorosa cinta muraria, le solide porte di ingresso, il cardo massimo, il decumano, il foro, il teatro e il minuto museo che raccoglie alcuni reperti.
Attraverso sentieri in mezzo a macchia e tratturi, che entrano ed escono da boschi umidi e incolti, che salgono e scendono su fondi sconnessi e a volte incerti e quasi pericolosi stupisce all’arrivo allorquando si incontra anche un breve tratto di ciclabile, segnalata, che il tempo e le istituzioni sembrano aver dimenticato la sua esistenza. Per arrivare a Isernia avevo previsto pure il passaggio e la visita di Bojano, non tanto per osservare la sorgente del Biferno (tormentata da oggetti di scarto nella sua vasca) o leggere l’evoluzione storica della Bovianum antica seduto all’ombra di secolari platani della piazza, ma quanto per verificare la mia emotività perlustrando l’area geografica dove sorgeva uno stabilimento di macellazione e trasformazione delle carni avicole la cui attività era sorta (oramai fallita) da una costola della azienda alimentare veronese (ormai fallita) dove ho trascorso i migliori anni della mia vita lavorativa.
Solo una insegna logora e stinta, un cancello arrugginito e sigillato, un parcheggio auto dove sostano arbusti e rovi, è monumento sepolcrale di un impero alimentare sconfitto dalla inefficienza di titolari e dirigenti incapaci. Da un breve dialogo in piazza con ex lavoratori, frustrati e delusi dopo ancora dopo tanti anni, capisco l’amarezza con cui proseguo il viaggio. Un loro commento mi agita la mente: “eravamo fieri della nostra azienda, qui ora produciamo solo disoccupazione”.
La strada da Monteverde di Bojano verso Isernia segue una ferrovia per una manciata di chilometri, ma per non essere sopraffatto dalla tristezza e malinconia, mi permetto di sperimentare la salita verso Campitello Matese. Mi misuro con la mia prestanza fisica e con quella concessa dalla bicicletta per affrontare alcuni chilometri di questa ascesa nota a tutti gli sportivi di bicicletta. Più che la fatica potè il tempo a disposizione. Virai in discesa rapida verso Isernia e raccolte forze e buonumore mi ritrovai a gestire i chilometri mancanti lungo discrete vie per incontrare sul finire la statale, con il suo traffico, ma anche con la sua scorrevolezza. Rapido tour di Isernia e poi spremo l’ultimo goccio di batteria sperando basti fino all’arrivo a “La Fortezza dei Sanniti”, B&B posto a cinque chilometri di agevole salita. Alla sera un fortunato invito mi permise di ritrovare l'antico profumo del mosto.
Da Castelromano ad Agnone km 65
Ritorno a Isernia e mi ritrovo solo al Museo Paleolitico di Pineta ad osservare ricostruzioni fedeli di animali dagli occhi vividi che cercano di impressionarmi all’ingresso. Entro per scoprire dove sono vissuti, con chi hanno lottato, da chi sono stati uccisi, e a cosa è servito il loro sacrificio. L’appagamento è soddisfacente al massimo. Grazie ad una superficie archeologica di circa 300 mq e migliaia di reperti archeologici conservati all’interno dei sedimenti, è stato possibile ricostruire un tassello di vita, con ambienti e strategie adottate da gruppi di Homo Heidelbergensis vissuti circa 600.000 anni fa. Tavole, illustrazioni, ricostruzioni e visione dei reperti originali sono fruibili per visitatori e ricercatori all’interno di un complesso moderno di 700 mq. Quasi vivente vengo affascinato dal bambino ricostruito sui dati di un suo dentino ritrovato.
Per direzione Agnone decido di salire prima da Carpinone poi da Pescolanciano. Qui si raggiunge l’altitudine di 800 metri con una strada che inizia subito dopo il museo un po’ incerta, ma che si fa snella e ben tenuta mano a mano che si sale. Il traffico è quasi assente. Anche se fino a questo momento sono state numerose le visioni dei paesi arroccati sui cocuzzoli delle alture, l’arrivo a Pescolanciano sorprende e riesce a farti scendere dalla bicicletta. Un castello, decine di case perlopiù nuove, una chiesa e il campanile, spuntano dall’umida nebbiolina che copre in parte tutto l’abitato, ma che per la prima volta noto senza sole con un effetto di magica sospensione.
Mi perdo lungo le scalinate delle vie fino a raggiungere il castello, la chiesa. Una sosta per ristoro e dopo il caffè mi preparo all’arrivo di tappa. So che sarà dura. Procedo in direzione Pietrabbondante, prima lungo l’armonico viale Garibaldi che porta fuori paese, poi seguendo una strada ampia, senza traffico, che conduce alla meta culturale della giornata: il Santuario Italico di Pietrabbondante, testimonianza architettonica più importante della religione Sannitica. La scenografia che si presenta dopo essere scesi lungo il sentiero che conduce al Teatro, richiama fortemente ad una religiosità ancora adesso. Fortunati quelli che potranno vedere questo sito in solitaria, nel silenzio dei propri pensieri. Potranno approfondire i dettagli dei diversi edifici tra cui spiccano Teatro, Tempio, case e “taberne”, porte e mura. Gli edifici restituiscono ancor oggi bellezza, comodità, religiosità.
Lasciato il sito la strada sale costantemente, mai ripidamente, in uno scenario magico. La strada abbastanza ben tenuta permette di scoprire ai suoi bordi i ristagni d’acqua del mattino, processione di funghi a bordo del bosco, e le tracce dei cinghiali che hanno smosso foglie, radici ed arbusti. Appare all’improvviso uno scenario unico, vero premio Oscar per la scenografia di un film sull’insediamento urbano. In alto le enormi rocce appuntite, sotto il paese di Pietrabbondante si distende assopito, la valle ancora lontana lascia spazio all’immaginazione della sua bellezza. I tre costoni rocciosi che incastonano il paese sono chiamati “Morge” e l’incantevole borgo dominato dal possente palazzo baronale dei Marchesani, racconta storie di antiche dinastie e tragici eventi familiari legati alle insurrezioni del 1860 e alla Seconda Guerra Mondiale.
Termina la salita inizia, a guisa di una sinfonia, la discesa: andante, presto, con brio, allegro, vivace, moderato. Non sono possibili distrazioni perché il fondo leggermente umido e “irrequieto” costringe alla massima attenzione. L’impressione è quella di scendere tantissimo, ma il fondo valle è ancora lontano. L’impressione è pure quella che prima o poi debba pagare il fio di tanto divertimento. So per certo che dovrò raggiungere oltre i mille metri di altitudine e mi aspetto l’impennata. Per questo in discesa spengo il motore per risparmiare l’ultimo sorso di energia che potrebbe essermi utile. La città di Agnone la vedo in alto, la stessa architettura di tanti altri luoghi in questo viaggio. Gli ultimi 5 chilometri in salita non impressionano. La sinfonia finale esprime il suo adagio, per poi scoppiare, nel finale festoso, in un suono complessivo di campane: ad Agnone alcune campane delle sue tante chiese, suonavano con forza. Non era certamente per il mio arrivo, ma mi sentii abbracciato. E’ così che pernottai al B&B “L’abbraccio”.
Da Agnone a Vasto-San Salvo Marina 100 km
“Se al Molise si deve rispetto per le sue montagne, ad Agnone lo si deve per le sue campane.” Lo appresi al bar alla sera. Il commento mi venne alla mente al mattino, era domenica, quando le numerose chiese della città invitavano alla cerimonia religiosa, con lo stentoreo e rimbombante suono delle loro campane. Ad Agnone il museo internazionale della campana sorge proprio accanto alla fonderia pontificia Marinelli, antica fonderia Italiana e fra le più antiche del mondo, specializzata nella costruzione di campane. Sopravvissuta tra le dinastie dei numerosi fonditori di campane di Agnone da otto secoli. Nel Museo Marinelli infatti è conservato un raro esemplare di campana gotica che la tradizione vuole sia stata fusa 1000 anni fa, ad Agnone. Scopri il museo
E’ l’ultima tappa del viaggio. La geografia me la presenta scorrevole e in discesa. Scelgo ancora l’alternativa appenninica dove vive il vero Molise che spero di incontrare. I primi chilometri sono in salita, ma niente di faticoso. E proprio quando la discesa si avvicina entro inaspettatamente nella regione Abruzzo. Un ponte su uno stretto torrente senz’acqua segna il confine. L’incanto del paesaggio molisano non muta. Esso si apre su entrambi i lati, e i monti abruzzesi contendono la loro bellezza alla valle molisana. Laggiù alla mia destra scorrono entrambe le strade veloci che raggiungono la costa adriatica, minute quasi invisibili, nascoste e mute. Un parco eolico vibra con le sue alte pale alla mia sinistra. Davanti una strada con fondo asfaltato, incerto e imprevedibile, modera la mia avanzata. Nuvoloni splendenti e cupi creano l’aspetto di un mondo senza colore. Subito oltre il dosso, la visione sulla valle mostra il fondale di un palcoscenico montuoso senza limiti.
Procedeva, con un bastone chiaro, sul lato destro della strada ritmando un passo regolare. Il suo bastone si elevava, toccava a terra, veniva spostato e leggermente alzato con il piede sinistro, poi battuto con la punta del piede destro, poi elevato ancora e riprendeva lo stesso ritmo. Un “pastore che alla domenica riposa” pensai. Rallentai per scoprire ancora qualcosa di lui. Seguiva il lato destro della strada con quel sintomatico movimento, quasi avesse in mente un ritmo musicale. L’incontro fu cordiale, ma il “pastore” avrebbe voluto avere anche lui la bici assistita, conosceva le marche e i prezzi, ma era incerto su come l’avrebbe utilizzata. Lui era in passeggiata, come ogni giorno, e indicandomi l’itinerario compresi che sarebbe salito fino al punto più elevato dove sorgono le pale eoliche e sceso a casa sua, che io non vidi. Raccontai di me, delle mie esperienze di viaggio in bicicletta. Non so se lo convinsi a comprarne una. Senza lamentarsi, disse che si aspettava di più dalla sua Regione che abbandona i luoghi lontani dai centri abitati. Lo vidi soddisfatto, ma non venni a conoscenza della sua attività. Della pastorizia, occupazione che in passato era la base dell’economia di questi luoghi, non vidi mai indizio e mi convinsi che, anche il pastore d’Abruzzo della domenica, non avesse lasciato in ovile le sue pecore. |
Raggiunsi in breve Castiglione M.M. che sta per Messer Marino. In tutti questi giorni mi sono sempre rallegrato nella lettura dei nomi dei paesi che attraversavo. Questo ancor di più. Quel Marino cosa ci starà a fare? “E’ il nome del feudatario della famiglia dei Caracciolo, che sposò la nobile Maria de Sangro, la quale portava in dote il territorio”. Strano che dopo molto vagare per le scalinate del borgo non trovai nessun castiglione. Infatti tre giovinette in quel giorno, mi istruirono che il castello non esiste più. A causa del trascorrere del tempo, di terremoti, per l’incuria e l’abbandono, di questa costruzione non resta nulla, salvo la memoria del luogo dove era ubicata chiamata ancora castello. Dal breve colloquio con le giovani appresi che per andare a scuola gli studenti delle superiori devono fare un’ora e mezza di autobus e raggiungere Vasto, mentre i giovani fino alle medie possono studiare ad Agnone. Alla fine delle scuole nessuno comunque resta nel paese. E lo spopolamento è costante. Gli anziani salgono e scendono le scale per andare in piazza o alla chiesa o al bar. Fanno gruppo e scambiano pareri, e quando avanti con l’età non ce la fanno più, si siedono davanti alle case e aspettano…qualcuno come me che abbia voglia di farli parlare e apprendere che sono loro donne che tengono perfettamente pulite tutte le gradinate, che le abbelliscono con i vasi di fiori, che sistemano le loro porte di ingresso, ma che non possono fare nulla contro la decadenza delle case disabitate e abbandonate.
Parto un po’ triste, anche se l’aperitivo mi era stato offerto dal sig. Michele che festeggiava l’onomastico. Buon augurio per la strada rimanente che ora scende continuamente. Una perfetta armonia con il creato che mi lascia percepire quanto sia ciarliera la ricca flora che mi circonda. E udendo alcuni versi indistinti ritengo che l'avifauna presente comprenda oltre le specie più allegre e canterine, anche falchi, nibbi che ho visto volare. Penso come l'abete bianco, il cerro e il faggio, il cespuglioso sottobosco nascondino numerose specie animali: caprioli, lepri, tassi, faine, volpi, scoiattoli, e cinghiali. Di questi ultimi sono visibili le tracce ovunque, come pure qualche rettile di buona taglia schiacciato sull’asfalto.
Nel sottobosco mi soffermo a mirare funghi di grossa taglia con il cappello che supera la misura del mio casco. Attraverso Torrebruna, Carunchio con la sua scenografica posizione piramidale, e raggiungo a sorpresa il santuario grotta di San Michele nei pressi li Liscia.
Google maps mi dona un itinerario ancora fuori dal traffico e lungo strade in discesa dove i colli tornano dolci e arrotondati, levigati e pettinati, dove sono filari di viti e ulivi si presentano allineati, e in posizione solitaria vincono il tempo antiche e maestose querce. Il paesaggio torna quello della partenza, ma sono all’arrivo, col piacere di raccontare la favola vissuta in Molise.
Sulla spiaggia di Marina di Vasto, gli ultimi turisti vagano stupiti tra i marosi che si infrangono,
“E miro a riposar l’errante spirto,
custode del silenzio io e Rudi”.
(Testi e foto di Fernando Da Re)